Analisi del 2015

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog.

Ecco un estratto:

Una metropolitana a New York trasporta 1 200 persone. Questo blog è stato visto circa 3.700 volte nel 2015. Se fosse una metropolitana di New York, ci vorrebbero circa 3 viaggi per trasportare altrettante persone.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

Più che località turistica. Destinazione accogliente

IMG_1271di Rita Salvatore

In questo post propongo alcune note di riflessione già illustrate nel corso del seminario tenutosi presso la Università di Teramo lo scorso 10 dicembre, in occasione dell’incontro dibattito con il team di Destinazione Umana  
Decenni di turismo di massa ci hanno abituato a pensare alle vacanze, ai viaggi  e al tempo libero in genere, come se questi si distribuissero lungo un asse spazio-temporale di  tipo gerarchico organizzato sulla base di uno schema “centrale-periferico”. Andando un po’ per semplificazioni, possiamo dire che i flussi dei turisti, così come l’intera organizzazione dei servizi, risultavano concentrati su alcuni gangli centrali che fungevano da polo attrattore rispetto ad altri siti periferici, comunque ad essi collegati, nella stessa area. Si trattava delle cosiddette “località turistiche”. Fuori da queste zone di influenza e da questa concentrazione di sviluppo turistico, esistevano solo “luoghi qualsiasi”, “non-mete”. Una rappresentazione spaziale che ben si rifletteva anche nella organizzazione temporale, con la scelta del periodo delle ferie di agosto, come momento per riposarsi. Preferibilmente su una spiaggia, in riva al mare. Da qui il fenomeno della stagionalizzazione.
Perciò, anche in campo turistico, così come in quello dello sviluppo economico più in generale, nel nostro paese si sono andate prefigurando almeno “due Italie” (lasciando per ora da parte la Terza  – cit. A. Bagnasco –  e le altre venute a seguire): quella delle località turistiche più battute dalle masse, e quella dei luoghi “non-mete”, comunemente periferici e non particolarmente vocati per la fruizione turistica. Spesso aree del tutto sconosciute al grande pubblico dei viaggiatori. Spesso periferie, caratterizzate per lo più da disagio insediativo. Questa seconda Italia coincide di fatto con quella delle società rurali in declino, con le aree fragili. Si è trattato (e si tratta ancora) di un divario che già da diversi anni hanno  messo ben in luce Legambiente e UnionCamere attraverso un Osservatorio sul disagio insediativo. 
Rispetto a questa rappresentazione, alcuni autori, già da qualche anno, stanno ipotizzando una inversione di tendenza. Brian Garrod, ad esempio, economista agrario gallese, parla di “ruralità in transizione”, come di un periodo senza precedenti in cui la ruralità sarebbe al centro di una nuova centralità, grazie all’attenzione che le PAC hanno dedicato al tema della multifunzionalità, a partire dai primi anni  del 2000. In questo scenario il turismo rurale sarebbe diventato un importante fattore chiave di cambiamento, una novità rispetto ai vecchi modelli di sviluppo rurale, basati unicamente sulla sola attività produttiva di beni agro-alimentari. In virtù della diversificazione, può essere quindi concepito come un importante elemento di integrazione tra le strutture economiche, sociali, culturali, naturali, umane in cui ha luogo. Ci sarebbe dunque da promuovere una complessa relazione di interdipendenza tra le risorse locali, gli attori, la valorizzazione dei patrimoni, il welfare e il mercato, a livello sia locale che globale. Anche per queste ragioni, il fenomeno connesso ai processi di riconversione delle campagne e di recupero delle economie rurali rappresenta oggi un ambito di osservazione privilegiato per l’analisi micro del cambiamento sociale e, congiuntamente, di quelle dinamiche che una società locale può mettere in atto al fine di superare lo status di perifericità.
Punto di partenza per un percorso di reale transizione è la constatazione basilare secondo cui NESSUN LUOGO PUÒ DIVENIRE UNA DESTINAZIONE TURISTICA SE LE COMUNITÀ CHE VI RISIEDONO NON OPTANO PER QUESTA SCELTA. Gli ingredienti del turismo rurale, infatti, non contemplano tanto una infrastrutturazione pesante e/o l’esistenza di servizi turistici standardizzati quanto piuttosto la rivitalizzazione di elementi tratti dalla vita quotidiana e la riscoperta dell’accoglienza come momento di incontro dotato di senso, tra chi ospita e chi viaggia. Non a caso, le aziende che operano in questo settore vengono spesso definite in letteratura come  “lifestyle oriented firms”. 
Si fa quindi riferimento ad un ribaltamento di prospettiva, che prevede la centralizzazione di aspetti rimasti spesso marginali. Ricalcando anche le idee che Franco Arminio riunisce sotto la proposta di un “nuovo umanesimo delle montagne” potremmo ipotizzare anche un “umanesimo nel turismo rurale”. In questa ottica, andare in viaggio verso una destinazione accogliente non significa visitare un luogo, una località turistica, ma significa partecipare ad una rivoluzione che rimette la terra al centro dell’economia e la passione al centro delle relazioni umane. Le località rurali non sono più intese come i luoghi del ripiegamento nostalgico, ma divengono spazio aperto a nuove immaginazioni e a contaminazioni, contesti in cui può aver luogo “la sagra del futuro”. Non sono neanche però i luoghi da riempire, dove portare la modernità delle città, in modo tale da farle diventare come il resto dell’Italia.
Se il modello è portare lo sviluppo che abbiamo conosciuto fin qui, tanto vale lasciar che questi luoghi restino abbandonati […] significherebbe omologare le montagne all’Italia delle pianure (Arminio)
Bisogna invece incentivare la sperimentazione di modelli (o, se vogliamo non-modelli) diversi, come per esempio quelli delle cooperative di comunità, legati ad un’economia dolce e comunitaria che contempli nuove forme di artigianato e di agricoltura multifunzionale, salvaguardia dell’ambiente, conseguimento della filiera chiusa e, congiuntamente, accoglienza.
Intenti di non facile realizzazione, soprattutto se pensati come disgiunti dalle politiche di welfare. Molte di queste potenziali destinazioni infatti sono costituite da aree fragili, che hanno superato le soglie minime di non ritorno (cit. Giovanni Cialone). Evidenziano cioè limiti reali nelle possibilità di azione e di intervento, essendo vittime di gravi deficit socio-economici che vanno dalla polverizzazione dei servizi allo spopolamento, dalla senilizzazione della popolazione alla denatalità. Mancano di fatto le materie prime per poter avviare un processo di sviluppo turistico (qualità della vita, coesione sociale, capitale umano, saperi dei territori). Come suggerito dai rapporti dell’Osservatorio su citato, servirebbe uno SHOCK CREATIVO, politiche più mirate, investimenti in INGEGNO e CREATIVITÀ. Non più finanziamenti a pioggia per una valorizzazione tout court. E soprattutto servirebbero NUOVI RESIDENTI, a scardinare il mito della comunità locale e dell’endogenesi. Andrebbero scelti in modo oculato luoghi ed opportunità e costruiti specifici e puntuali progetti strategici di valorizzazione territoriale, con finanziamenti per obiettivi. Andrebbe inoltre definita una “rete minima di tenuta”, con strategie di lungo periodo e “a lento rilascio”, nelle quali lo shock creativo sia connesso ad un orizzonte di sviluppo durevole e duraturo.
Tutto questo per dire che – contrariamente a quanto ci vorrebbero far credere slogan pseudo-politici fin troppo semplici – le dotazioni culturali, storiche, paesaggistiche ed enogastronomiche sono sì essenziali, ma da sole non sono in grado di attivare alcun percorso di sviluppo. Servono invece altre condizioni strutturali sulle quali basare politiche di attrattivitá e di inclusione. E le condizioni migliori perché ciò avvenga esistono solo laddove la popolazione è più giovane e dove la dipendenza da redditi pensionistici è più bassa, perché l’ambizioso obiettivo di rivitalizzare le aree marginali può essere perseguito solo ricreando condizioni di vita favorevoli per chi decida di investirvi il proprio lavoro e la propria vita, anche aprendosi all’accoglienza.

La dimensione umana nelle destinazioni

TESTIMONIAL_DU_logo“Il viaggio, da oggi. Non chiederti più dove, ma chi” . Con questo claim Destinazione Umana si presenta al popolo del web, annunciando in poche parole il senso di una profonda innovazione in campo turistico, un progetto che di fatto ribalta la concezione stessa del viaggio. La nuova prospettiva infatti impone che lo stimolo a viaggiare sia mosso non più dal DOVE si vuole andare, ma da CHI si vuole conoscere. Una inversione di rotta che ha portato il team di Destinazione Umana a lavorare nel campo – ancora tutto da esplorare – del “viaggio ispirazionale”.

Crediamo infatti – così affermano i fondatori del portale – che il sempre più diffuso senso di solitudine delle persone possa essere trasformato in felicità attraverso esperienze ad alto valore umano. Allo stesso tempo, vogliamo offrire un’opportunità in più a tutte quelle piccole strutture ricettive (spesso localizzate in zone poco conosciute) che non trovano canali che promuovano le loro realtà in una via autentica.

L’incontro con gli ideatori di questo progetto sarà occasione per riflettere in senso più ampio sul ruolo occupato oggi dalle destinazioni nel percorso verso la costruzione della sostenibilità nel turismo. Una riflessione quantomai utile e necessaria, soprattutto qui e oggi, a ridosso del riconoscimento, da parte del MIBACT, del primo distretto turistico montano d’Italia: quello del Gran Sasso.

Se ne parlerà il prossimo 10 dicembre in un seminario dal titolo “La dimensione umana nelle destinazioni. Un percorso per la sostenibilità nel turismo”, organizzato nell’ambito del corso di “Turismo enogastronomico e sviluppo rurale” e sostenuto dai Corsi di Laurea in Viticoltura ed enologia, Scienze e tecnologie alimentari e Scienze del turismo. L’incontro avrà luogo presso la Aula tesi della Facoltà di Scienze politiche, a partire dalle ore 15,00

 

Programma dell’incontro

Saluti dei Presidenti dei CdL Giovanna Suzzi (Viticoltura ed enologia), Michele del Carlo (S.T.A.), Andrea Ciccarelli (Scienze del turismo)

ModeraAndrea Ciccarelli (Docente di Statistica economica)

Interventi

“Più che località turistica, destinazione accogliente” – Rita Salvatore (Docente di #TESR)

“Nuove competenze per un turismo sostenibile” – Lucia Scarnecchia (Dottore di ricerca in “Analisi delle politiche di sviluppo e promozione del territorio”)

 “Ripensare una destinazione: l’esperienza di Civitella Alfedena” – Emilio Chiodo (Ricercatore di Economia agraria)

“Il ruolo delle Destination Management Company (DMC)” – Antonio Stroveglia (Progettista sistemi turistici)

“Perché Destinazione Umana” – Silvia Salmeri (Founder di Destinazione Umana)

Presentazione e proiezione del video “Berardino” – di Alessandro Di Gregorio (videomaker)

Scarica QUI la locandina del seminario

Comunicare e promuovere il prodotto enogastronomico

Diapositiva1Questo incontro è stato dedicato all’analisi del processo che conduce dalla dotazione di un bene (sia esso parte del patrimonio architettonico e/o ambientale di una destinazione, o semplicemente una produzione agricola) alla sua valorizzazione e alla sua “traduzione” in prodotto turistico. In questo percorso divengono di centrale importanza non solo la comunicazione, ma anche la interpretazione e la narrazione come strumenti in grado di rivelare, in modo informale, l’unicità di un’offerta. Un valore che può essere veicolato in maniera più diretta ed emotivamente significativa soltanto dalle persone. Il racconto di una esperienza di vita e/o di lavoro giunge così a rappresentare la quintessenza dell’esperienza turistica, il pull factor che spinge i turisti a muoversi da una quotidianità piatta verso una dimensione focalizzata sulla ricerca di una emozione da non dimenticare.  In fondo, che cosa sarebbe questo tanto conclamato “turismo esperienziale”, se non una circostanza in cui vivere una “transizione esistenziale” basata sulla relazione del tipo “persone che accolgono persone”?

Ne abbiamo parlato con i nostri ospiti:

  • Gianlorenzo Molino, co-founder di  Italia Sweet Italia , un T. O. abruzzese che ha puntato tutto sul valore dell’accoglienza “domestica ed autentica” per attrarre una domanda estera (soprattutto anglosassone) qualificata e ben predisposta alla scoperta di intime territorialità
  • Marianna Colantoni, social media strategist e co-founder di Taste Abruzzo un food blog “sui generis” finalizzato principalmente a riallacciare il rapporto tra sapore e natura, tra produttore e consumatore, tra content creation ed emozioni.

scarica QUI le slide della lezione